venerdì 30 settembre 2011

CALCIO BALLILLA: LA STRANA STORIA DI UNO SPORT

La storia di uno dei giochi più amati dagli avventori di bar, in attesa della meritata promozione a Sport Olimpico.


Alzi la mano chi, almeno una volta, non ha impugnato le manopole di un calcio balilla. E chi non conosce almeno uno dei trucchi utilizzati per giocare ore ed ore con un unico gettone (dalla stecca di cremino sul pomello che lasciava cadere le palline, fino al calzino messo dentro le porte).
Il biliardino è uno dei giochi più diffusi in tutto il mondo, forse proprio per la sua adattabilità ad ogni tipo di ambiente. Al mare o in montagna, al chiuso o all’aperto, la mattina o la sera, non ci sono limiti alle modalità in cui praticare questo sport. Ebbene sì, parliamo di sport, perché in tutto il mondo sono oggi migliaia le scuole, le federazioni e le associazioni nazionali, e nelle Olimpiadi di Pechino appena terminate il calcio balilla si è presentato come disciplina sperimentale, in attesa del riconoscimento ufficiale del CIO (il Comitato Olimpico Internazionale).
Ma come nasce l’idea di “infilzare” undici calciatori, e trasferirli da un campo di calcio in una scatola di legno? La storia di questo gioco si intreccia con quella di un personaggio storico, unico e stravagante, scomparso nel 2007: il suo nome era Alejandro Finisterre, un poeta spagnolo, ma anche un editore e un inventore. Rimasto ferito durante la guerra civile spagnola, Finisterre conobbe in ospedale molti bambini mutilati, che non avrebbero più potuto giocare a calcio. Ispirato dal tennis da tavolo, allora, decise di inventare un gioco che riproducesse anche il calcio, cosicchè anche quei bambini avrebbero potuto giocarvi. Nacque così l’idea del biliardino (futbolìn, in spagnolo), che Finisterre brevettò nel 1937, salvo poi perdere tutte le documentazioni in una rocambolesca fuga attraverso i Pirenei per sfuggire alla vittoria franchista. In realtà si pensa che egli perfezionò le idee di altri inventori, in particolare di un certo Broto Wachter in Germania, e di un ingegnoso operaio della Citroën in Francia. Alejandro Finisterre ebbe comunque una vita avventurosa, visse in Sud America dove fece anche il ballerino di tip-tap e quando tentarono di rimpatriarlo in Spagna, divenne anche uno dei primi dirottatori aerei della storia, fingendosi armato e riuscendo a far atterrare il suo aereo a Panama. I suoi biografi narrano anche di una partita a biliardino addirittura con Ernesto Che Guevara. In Italia il biliardino viene importato dalla Francia nei primi anni ’50, dove inizia una vera e propria produzione a livello industriale. Tuttavia alcuni rudimentali prototipi vennero già usati al termine della seconda guerra mondiale, per la riabilitazione psicomotoria dei reduci di guerra (da qui nasce il nome “calcio balilla”).
A partire dagli anni ’60 diventa un vero e proprio oggetto di culto, in tutto il mondo. In Italia, complice anche la storica passione del paese per il calcio, diventa il gioco più amato dai frequentatori di bar, oratori, circoli, campeggi e sale giochi. E nonostante ormai i videogiochi siano il passatempo preferito dai giovani, il fascino del calcio balilla rimane del tutto inalterato. Aspettando il sì definitivo del CIO: quando finalmente, dopo anni di rullate amatoriali, anche il calcio da tavolo sarà ammesso nell’Olimpo degli sport.

Riccardo Staroccia

TATUAGGI AL DENTE

Terminato lo spazio sul corpo, si cercano nuove superfici utili: negli USA ora il tatuaggio si fa sui denti.

Il tatuaggio ormai ce l'hanno tutti, o quasi. Ma adesso la vera sfida è capire dove.
Finita da un pezzo l'epoca del bicipite, sono state sperimentate tutte le parti del corpo: chi ce l'ha sulla spalla, chi sul petto, chi sulla schiena, chi sul polpaccio, chi sul piede, chi sulla pancia. Ma la fantasia degli artisti (e del business) non ha limiti: è stato così individuato l'ultimo spazio utile, è stata conquistata l'ultima bianca frontiera, pronta ad essere imbrattata: i denti, naturalmente (e come non pensarci prima!).
Tooth Artists, si fanno chiamare così: gli artisti del dente. Lo studio è lo Heward Dental Lab, nello stato americano dello Utah, che dichiara di essere in grado di creare immagini personalizzate sui denti di chiunque. Con una semplice prescrizione medica, avrete dipinto il vostro molare o l’incisivo proprio come lo avete sempre desiderato.

I prezzi variano dai 75 ai 500 dollari (dai 48 ai 317 euro) e naturalmente la scelta dell’immagine da riprodurre dovrà essere compatibile con le ridotte dimensioni del dente.
La differenza con il tatuaggio “a pelle” è che questo, assicurano, non è permanente. “Il tatuaggio potrà essere facilmente rimosso in cinque minuti in uno studio dentistico”, garantiscono sul sito internet ufficiale.
A meno che non abbiate intenzione di volare negli USA, c’è ancora un pò di tempo per pensarci, finchè quest’ennesima moda sbarcherà in Europa. Intanto potete divertirvi a riconoscere i personaggi tatuati sui denti nella foto: sono la Principessa Diana, la Regina Elisabetta, Simon Cowell, David Beckham, Amy Winehouse, Abraham Lincoln, Elvis, David Letterman, Tiger Woods e George Washington. 
Aguzzate la vista, e affilate i canini.

Riccardo Staroccia

giovedì 29 settembre 2011

PERCHE' LA CORSIA ACCANTO E' SEMPRE PIU' VELOCE?

"La corsia che hai a fianco è sempre quella più scorrevole": recita così la Prima Legge del G.R.A., raccolta nella famosa antologia di aforismi della Legge di Murphy.
In situazioni di traffico congestionato, in effetti, sembra sempre che la nostra corsia sia inevitabilmente più lenta di quella adiacente. 
In realtà è stato dimostrato come in certi casi la velocità delle corsie sia praticamente la stessa, ma l'illusione scaturisce da un errore di giudizio dell'automobilista.
Generalmente, infatti, il guidatore ha la convinzione di aver trascorso molto più tempo ad essere sorpassato che a sorpassare. Questa, però, è un'interpretazione erronea, dovuta al fatto che quando, per l'effetto ad elastico, è il turno in cui si muove l'altra corsia, ci sembra che lo faccia per molto tempo e a grande velocità.
Quando invece tocca alla nostra, dimentichiamo di fare confronti, e quando ci fermiamo di nuovo ci sembra di esserci mossi molto meno rispetto agli altri.
L'unica soluzione sensata sembra dunque quella di armarsi di pazienza, e resistere alla forte ma inutile tentazione di cambiare continuamente corsia.

Riccardo Staroccia

TRAFFICO: ORA C'E' LO PSICOLOGO

Squadre di specialisti scendono "in strada" per aiutare gli automobilisti e applicare la psicologia a numerose macro-aree: dalla valutazione dei neo-patentati alla comunicazione delle brutte notizie.


Code, traffico, stress. Le file ai semafori tornano ad essere lunghe, le vie d'accesso alle grandi città intasate già dalle prime ore del mattino.
Finita l'estate, svanisce l'illusione di una città a misura d'uomo e milioni di automobili tornano a prendere il sopravvento sulle strade.
Quest'anno, però, potrebbe esserci un insolito e inaspettato soccorso: quello dello psicologo.
Per i non addetti ai lavori questa figura richiama la classica scena dello "strizzacervelli" che cura ascoltando le impressioni del paziente sdraiato su un lettino. Ma la psicologia fornisce spesso anche un valido aiuto alla vita quotidiana, mettendo a frutto le conoscenze della materia per risolvere le questioni della realtà pratica.
E poichè quello del traffico è senza dubbio uno dei più grandi problemi nella giornata-tipo dell'uomo medio, si è provato ad applicare questa scienza allo studio delle sue dinamiche.
Non è, comunque, una novità. In alcuni paesi europei come la Germania, la Svezia, e la Gran Bretagna, la psicologia offre già il suo contributo al sistema traffico, dove è soprattutto al servizio di enti locali e forze di polizia per la formazione del personale e l'assistenza nello sviluppo di nuove strumentazioni.
In Italia è stata recentemente inserita la psicologia del traffico come insegnamento facoltativo a Milano, presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, unitamente ad una task force apposita. In questa unità si studia, ad esempio, il modo in cui allenare la concentrazione di fronte alle situazioni di pericolo che si possono creare sulla strada, utilizzando anche dei simulatori di guida molto simili ai videogames. 
Ci sono inoltre segnali di una possibile collaborazione con l'Unasca, l'unione nazionale delle scuole guida, secondo la quale una figura professionale specializzata come quella dello psicologo sarebbe di grande aiuto per valutare meglio gli esaminandi, ma anche per aggiornare gli ispettori.
Un'ulteriore, importantissima collaborazione, è quella con le forze di pubblica sicurezza, ad esempio nel migliorare l'accuratezza delle deposizioni dei testimoni di un incidente, che spesso sono inesatte e fortemente suggestionate dalle emozioni.
Insomma, sono molte le aree in cui la psicologia può offrire aiuto alla "viabilità": educazione stradale, messa a punto di strumenti per il rispetto delle leggi, collaborazione con le figure professionali che si occupano di traffico e sostegno psicologico ai parenti delle vittime di incidenti stradali.
Per quanto riguarda la definitiva sconfitta di code e traffico, c'è ancora da lavorare. Ma gli psicologi giurano che stanno lavorando anche su quello.

Riccardo Staroccia

mercoledì 28 settembre 2011

iPHONE 5, UFFICIALE: PRESENTAZIONE IL 4 OTTOBRE


Sarà presentato il 4 ottobre a Cupertino il nuovo melafonino

Apple ha finalmente annunciato una data uffiiciale per l’evento di presentazione del melafonino. L’attesa è per il 4 ottobre prossimo al Campus Apple. Tuttavia, i rumors hanno previsto tutto e il contrario di tutto, è difficile farsi un’idea precisa di cosa accadrà.
Nonostante gli inviti citino specificamente la presentazione di iPhone, c’è la possibilità che Apple presenti anche altro. 
E comunque non è possibile sapere, se anche fosse vero, come sarà il nuovo oggetto del desiderio degli "apple-addicted". 
La buona notizia è che tra pochissimi giorni tutto sarà svelato.

IL RUGBY, SPORT RUDE PER PERSONE GENTILI

Alla scoperta del rugby, uno sport vero per uomini veri. Nato dal folle gesto di un ragazzo stufo del rugby.


Strano sport, il rugby. A guardarli mentre giocano fanno venire i brividi tra botte, mischie e placcaggi a valanga. Poi però si scopre che alla base di questo sport c’è, appunto, la sportività, la lealtà, il rispetto dell’avversario. E allora viene subito spontaneo il paragone con il “nostro” bel calcio, dove ad ogni sgambetto assistiamo a contorsioni sul prato e urla lancinanti di dolore, simulazioni, falli intenzionali e comportamenti antisportivi.
Il paragone non è azzardato, visto che il rugby nasce proprio da una partita di calcio, quella che si disputò in uno dei più esclusivi college inglesi (quello di Rugby, appunto), nel 1823.
Ad un tratto il giovane William Webb Ellis afferrò la palla con le mani, e si involò di gran carriera verso la linea di fondo, segnando la nascita di un nuovo sport, tra le facce attonite dei suoi compagni.
Da quel giorno sono state numerose le evoluzioni subite da questo gioco, a partire dall’introduzione della palla ovale. Ancora oggi esistono più tipi di rugby, a seconda del luogo in cui si pratica. In effetti, con il termine “rugby” si intendono tre sport, simili ma ben distinti: il rugby a 15 (il più diffuso in tutto il mondo), il rugby a 13 e il rugby a 7.
La manifestazione più importante di questo sport è la Coppa del Mondo, disputata ogni quattro anni. Accanto ad essa vengono giocati ogni anno due prestigiosi tornei, il “Sei Nazioni” (dove si confrontano Francia, Scozia, Inghilterra, Galles, Irlanda e Italia) e il “Tri Nations” (Neozelanda, Sudafrica e Australia).
È interessante notare che il Sei Nazioni si chiamava, fino al 2000, Cinque Nazioni, e cambiò nome con l’introduzione della nazionale italiana nel torneo. Una bella soddisfazione per noi, giocarsela con gli inventori di questo sport, tentando di evitare il premio simbolico e beffardo del “Wooden Spoon” (Cucchiaio di Legno), assegnato alla squadra che non vince neanche un partita. Sembra che questa usanza fosse diffusa nell’università di Cambridge, dove gli studenti regalavano ai loro compagni che prendevano i voti più bassi un cucchiaio di legno. Nonostante sia così legato alle sue tradizioni, il rugby non manca di evolversi, ad esempio tramite l’introduzione nelle partite più importanti, di una specie di “moviola in campo” a sostegno degli arbitri. La stessa tanto invocata da alcuni anche per la nostra serie A.
La cosa più bella del rugby, tuttavia, oltre alla spettacolarità di uno sport così fisico, è senza dubbio lo spirito con il quale si affronta ogni partita. Alla fine dell’incontro, si sta insieme per l’ormai famoso “terzo tempo” in cui i giocatori delle due squadre si ritrovano con i tifosi per festeggiare il match appena concluso, indipendentemente dal suo esito.
Questo è il fascino assoluto del rugby. Uno sport per uomini veri, dentro e fuori dal campo.

Riccardo Staroccia

martedì 27 settembre 2011

PERCHE' LA RISATA E' CONTAGIOSA?

Scoperto il motivo per cui ridere è contagioso: "colpa" dei neuroni-specchio. 
Ridere comporta inoltre mille benefici: purifica le vie respiratorie, abbassa il colesterolo, previene l'arteriosclerosi, combatte la stitichezza, allontana l'insonnia, riduce lo stress, calma il dolore.

saperlo, lo sapevamo già tutti. Ma in pochi  avevano tentato di darsi una spiegazione, tanto meno una spiegazione scientifica: ridere è contagioso, e a svelarne il motivo ci ha provato un gruppo di scienziati della University College e dell’Imperial College di Londra.
L’esperienza quotidiana ci insegna che se qualcuno ci sorride, non solo sarà sicuramente più simpatico, ma stimolerà in noi (quasi sempre) una risposta automatica, che ci porterà a sorridere a nostra volta.
In alcune situazioni, specie quando si è in tanti, a volte si ride per delle ore apparentemente senza motivo, soltanto perchè tutti continuano a ridere. 
Conoscono bene questo meccanismo anche certi registi e produttori di sit-com o programmi tv in genere (vedi Striscia la Notizia), dove ad ogni battuta viene aggiunta una fragorosa risata registrata ad hoc per stimolarla anche nel telespettatore, sfruttando le proprietà contagiose del ridere. Questi studiosi, dunque, nell’articolo pubblicato sulla rivista The Journal of Neuroscience, sostengono che quando qualcuno ride o esprime un’esternazione di gioia, nel cervello di chi ascolta si attivano le stesse aree che si “accendono” quando siamo noi stessi a ridere.
In pratica, quando vediamo qualcuno che ride il nostro cervello istintivamente lo imita, mettendo in moto i muscoli facciali (circa sessanta) che permettono il sorriso.
E’ un meccanismo di “specchio” che rinforza nell’uomo i vincoli sociali. Si attiverebbero infatti i centri neurali formati dai “neuroni specchio”. Questi neuroni hanno il compito specifico di osservare e comprendere le espressioni degli altri, e di attivare automaticamente una risposta adeguata ad esse, imitandole. Questa capacità dell’uomo per essere così radicata nel cervello deve esse-re nata nelle prime fasi dello sviluppo evolutivo, ed è fondamentale per le relazioni sociali, che a loro volta sono basilari per la vita di ciascuno. Attraverso il monitoraggio dell’attività cerebrale di alcuni volontari sottoposti a risonanza magnetica, si è scoperto che solo i suoni “positivi” fanno scattare il meccanismo di imitazione. Le risate suscitano l’attivazione della corteccia premotoria, l’area neurale che, controllando i muscoli del viso, ci permette di ridere. L’effetto è evidente, al punto che, in quel momento, è come se fossimo noi stessi in prima persona a ridere, mentre invece stiamo semplicemente ascoltando una risata altrui.

Riccardo Staroccia


lunedì 26 settembre 2011

PIG IS BACK! IL MAIALE DEI PINK FLOYD TORNA NEI CIELI DI LONDRA!


SHWEEB, L'IDEA CHE CAMBIERA' IL MONDO

Un concorso lanciato da Google prometteva di finanziare le migliori cinque idee che avrebbero cambiato il mondo. Tra le vincitrici, ce n'è una che ci farà lasciare a casa la macchina per pedalare nei cieli.

Pedalare “appesi” a una monorotaia sopra la città, e in questo modo recarsi tranquillamente a lavoro, o a fare la spesa. Detta così, sembrerebbe un’idea un po’ strampalata, fin troppo futuristica. Un’idea forse più adatta a un parco giochi che a una metropoli.
A credere in questo progetto, però, è stato addirittura il colosso “Google”, finanziando l’idea con più di un milione di dollari. Vale la pena, dunque, approfondire il tema, considerando il fatto che l’azienda di Mountain View ha cambiato il modo di vivere di milioni di persone in tutto il mondo.
Il progetto della “monorotaia a pedali” si chiama Shweeb, ed è tra i 5 vincitori dell’iniziativa di Google Progetto 10^100, un concorso di idee con l’obiettivo di “cambiare il mondo”. Sono stati stanziati ben dieci milioni di dollari da destinare allo sviluppo di cinque idee. La selezione è durata un anno, e ha interessato oltre 150mila proposte provenienti da tutto il mondo.
Un’idea che dovrebbe rivoluzionare il trasporto urbano, sfruttando solo la forza muscolare umana, pedalando dentro capsule trasparenti appese a una rotaia. Gli ideatori giurano di aver già pensato (e trovato una soluzione) a tutti gli eventuali problemi. Ad esempio, se un ciclista va più veloce di quello che lo precede, non c’è rischio di tamponamento. Semplicemente le due capsule si mettono a lavorare in tandem ed entrambi andranno più veloci, come una macchina con due motori. La velocità massima del sistema è tarata a 25 km/h. In realtà potrebbe andare molto più veloce, ma sarebbe difficile gestire gli urti, i cambi di corsia e le soste alle stazioni. Avreste qualche problema a salire su una capsula usata prima di voi da chissà chi? Nessun timore, le capsule verranno igienizzate prima di essere date all’utilizzatore seguente. Da ogni stazione di 10 capsule è stato calcolato che potranno partire fino a 1200 passeggeri ogni ora.
Le stazioni saranno posizionate vicino ai centri di traffico o di interscambio. In ognuna di esse c’è posto per due adulti (per intenderci, grosso modo lo spazio dell’abitacolo di una Smart): più che sufficiente, calcolando che la maggior parte delle automobili che intasano le nostre strade sono occupate dal solo guidatore.
Se, però, volete viaggiare in compagnia, basta salire insieme nelle capsule e formare un “trenino”: attivando gli interfoni potrete tranquillamente chiacchierare da una capsula all’altra.
Nei punti in cui il percorso è in salita entrerà in azione una specie di nastro trasportatore alimentato a pannelli solari che aiuterà i viaggiatori che non ce la farebbero con le proprie forze. Tenendo presente, comunque, che il passeggero/ciclista, essendo in posizione orizzontale, avrebbe una maggiore e più comoda spinta sui pedali rispetto alle classiche biciclette.
Infine, cosa di non poco conto, non dovendo in alcun modo fare attenzione a semafori, strisce pedonali e autovelox, i viaggiatori potranno tranquillamente mandare sms, aggiornare il proprio profilo di facebook o leggere un quotidiano pedalando.
Il progetto c’è, un primo finanziamento pure: ora si cerca una città disposta a sperimentare.

Riccardo Staroccia

L'ULTIMA DAL WEB: AMICI A PAGAMENTO

Un sito da poco sbarcato anche in versione italiana, garantisce un ricco database per affittare un amico per la compagnia di una serata. Ma sia chiaro: solo rapporti platonici.


Si diceva: “chi trova un amico trova un tesoro”.
Evidentemente trovare veri amici non è più così semplice, tanto che ora c'è chi, pur di trovarlo, è disposto a sborsarlo, il tesoro.
Sta avendo un grandissimo successo negli USA, infatti, il sito “rentafriend.com”, che vuol dire proprio “affitta un amico”.
Il sito è, praticamente, un database ce contiene amici per tutti i gusti: uomini e donne, giovani e adulti, tutti entusiasti di passare qualche ora con chi lo voglia. Il tutto, naturalmente, dietro pagamento di una tariffa oraria che varia a propria discrezione.
Il catalogo fino ad ora può contare ben 2.000 iscritti, e si sta espandendo in tutto il mondo. Basta inserire il proprio codice postale e il motore di ricerca troverà automaticamente gli amici a disposizione in quella zona.
È bene specificare che non si tratta di un sito di incontri, il cui numero è ormai praticamente infinito. “Il nostro è un servizio diverso da quello dei siti per incontri, nessuno dei quali offre amicizia – spiega Scott Rosenbaum, il fondatore, un 30enne del New Jersey – qui c'è in ballo soltanto un rapporto platonico”.
Lo stesso Rosenbaum si vanta di gestire il sito che offre le tariffe più basse e il database di amici più ricco. Per entrare a far parte della community si pagano 25 dollari di iscrizione, mentre l'affitto di un amico costa dai 10 ai 50 dollari l'ora.
Ma per cosa si può affittare un amico?
Una serata al cinema, ad esempio. Oppure al ristorante o a teatro. Avete un biglietto in più per una partita di calcio e non avete voglia di andare da soli? Forse sarebbe il caso di alzare il telefono e richiamare un vecchio amico che non vedete da tempo: se, però, non ne avete voglia, basta collegarsi e cliccare sul vostro prossimo amico.
Ma un amico in affitto può essere utile anche per farvi da guida in una città che non conoscete. Oppure potrete sceglierne uno di quelli che offre abilità particolari: ci sono, infatti, amici che sapranno insegnarvi una lingua straniera, istruttori di fitness, di snowboard o di yoga, oppure cantanti, ballerini e pittori. Insomma, di tutto e di più.

Riccardo Staroccia

I 7 MISTERI DELLA TERRA

Pensavamo di sapere praticamente tutto, ma i misteri che avvolgono il nostro pianeta sono ancora molti. Secondo la rivista New Scientist, in particolare, sarebbero 7 i misteri ancora irrisolti della Terra.


È la nostra casa, ma non conosciamo tutto di lei come sarebbe logico pensare. I misteri che avvolgono il piccolo pianeta del Sistema Solare sono infatti ancora molti. In particolare, secondo l'autorevole rivista New Scientist, sarebbero sette i punti interrogativi.
Eccoli.

  1. Come mai sulla Terra si sono create le condizioni migliori per la nostra vita?
    Ok, la teoria più accreditata sull'origine dell'Universo, quella del Big Bang, sembra reggere. Ma il perchè sulla Terra si sia potuta creare la possibilità della vita (almeno per come la conosciamo noi) rimane.
    La giusta distanza dal Sole è senz'altro una spiegazione valida, ma mancano ancora tanti dettagli su come possano essersi manifestate le giuste condizioni per la comparsa della vita.
  2. Cosa è successo durante l'Età Oscura della Terra?
    Il cosiddetto “eone adeano”, il periodo che comprende i primi 500 milioni di anni (!) del pianeta, sono ancora oggi avvolti nel mistero. Sappiamo orientativamente che la Terra, a quei tempi, fu colpita da un corpo celeste delle dimensioni di Marte, e che i detriti sollevati da quella collisione oscurarono la luce e generarono la Luna. Questa, però, è pressochè l'unica cosa che sappiamo di quel periodo.
  3. Da dove viene la vita sulla Terra?
    Questo è, forse, l'interrogativo più affascinante. Accantonata la teoria che sosteneva che la vita fosse arrivata sulla Terra attraverso un meteorite partito da chissà dove, oggi gli scienzati “litigano” ancora, ciascuno con la propria idea. In realtà è ancora troppo complicato trovare e analizzare materiali risalenti a 4 miliardi di anni fa, periodo nel quale si ritiene comparvero le prime forme di vita.
  4. Perchè la Terra ha la tettonica a zolle?
    Di tutti i pianeti conosciuti, il nostro è l'unico che ha la parte più esterna suddivisa in placche in continuo movimento. Nonostante questo fenomeno sia stato ampiamente studiato (e compreso) nelle sue dinamiche, resta un mistero il perchè solo la Terra abbia questa caratteristica.
  5. Cosa c'è al centro della Terra?
    A scuola ci hanno insegnato che ci sarebbe un nucleo liquido ed incandescente di ferro e nichel. Ma New Scientist invita a non fermarsi a questa convinzione. Il nucleo, infatti, alla nascita del pianeta era molto diverso, e proprio sui tempi e i modi di questa modifica il dibattito scientifico è ancora fermo.
  6. Perchè il clima della Terra è così stabile?
    Il vero segreto della presenza della vita sulla Terra è quello della stabilità del clima. Per almeno 4 miliardi di anni la temperatura sul nostro pianeta è rimasta pressochè stabile: una “fortuna” che non ha ancora trovato motivazioni certe.
  7. Possiamo prevenire i terremoti e l'eruzione dei vulcani?
    È quasi impossibile stabilire quando un fenomeno del genere potrà verificarsi, benchè si conoscano le zone più soggette a rischio (i punti in cui si scontrano due placche). Ma le attuali previsioni si basano sul calcolo delle probabilità in base ai dati registrati negli anni passati: un metodo tutt'altro che preciso.

Insomma, chi pensava che ormai sapessimo già tutto del nostro pianeta, si sbagliava di grosso. Non è ancora ora di colonizzare la luna: la nostra Terra ha ancora tanto da raccontarci.


Riccardo Staroccia

AUGURI AL CODICE A BARRE

Il 7 ottobre prossimo il  compirà 62 anni.
Parliamo del codice a barre, ormai un segno presente su qualunque prodotto e al quale non facciamo neanche più caso. Ma che fu una grandissima innovazione tecnologica.
Era il 7 ottobre 1948 quando due studenti americani della facoltà di ingegneria dell'Università di Drexel (Philadelphia) ebbero l'idea di automatizzare le operazioni di cassa, dopo aver sentito le lamentele da parte del presidente di un'azienda del settore alimentare sulla lentezza delle operazioni.
Oggi in tutto il mondo moltissime persone hanno tatutato sul corpo, spesso nella parte posteriore del collo (ma non solo, cfr. foto...) questo simbolo dei tempi attuali.

venerdì 23 settembre 2011

COME IL WEB HA CAMBIATO LE NOSTRE VITE

Il quotidiano inglese "Telegraph" ha stilato una lista delle cose che sono radicalmente cambiate dall'avvento di internet ad oggi. Oggetti obsoleti e stili di vita vecchi: ecco come sono cambiati.


Diciassette anni fa era solo il 1994. Silvio Berlusconi “scendeva in campo”, l'Italia perdeva i mondiali in finale contro il Brasile ai calci di rigore, e spopolavano le prime “boy band” come i “Take That”. Ma la nostra vita era molto diversa, soprattutto perchè non c'era internet. O almeno, ancora non entrava in maniera così dirompente nella nostra vita quotidiana.
Ma cosa è cambiato, concretamente? Se lo è chiesto il Telegraph, giungendo ad una lista finale di 50 “cose” uccise dal web. Per “cose” si intendono non solo oggetti ormai diventati inutili ed obsoleti, ma anche abitudini che abbiamo perso, perchè oggi non avrebbero più senso.
Non tutti gli oggetti citati dal Telegraph sono ovviamente scomparsi, ma il loro utilizzo è sicuramente meno essenziale che in passato. In prima fila ci sono il televideo, gli elenchi telefonici e gli album fotografici. Che senso ha cercare una notizia sul televisore, quando ormai con un click abbiamo, oltre alla notizia stessa in tempo reale, anche immagini, video e link di approfondimento? Chi utilizza ancora i vecchi elenchi telefonici, quando basta interpellare un motore di ricerca per avere il numero che cerchiamo? Conservare album fotografici sarà anche bello, ma non si può negare che ormai la maggior parte delle foto le teniamo in una o più cartelle sull'hard disk o, addirittura, condivise con il resto del mondo su siti come flickr. Per non parlare delle e-mail: scrivere a penna una lettera è molto più romantico, ma vuoi mettere la comodità e la rapidità della posta elettronica?
La lista prosegue con abitudini che solo pochi lustri fa erano del tutto normali. Ma quanti sono ormai gli appassionati di musica che vanno in un negozio di dischi a comprare dei cd? Sicuramente meno di quelli che la scaricano – più o meno legalmente – da internet. Il Telegraph parla anche delle riviste porno, il cui acquisto era considerato quasi come un “rito di passaggio” per gli adolescenti: oggi per loro tutto è più semplice, vista l'immensa offerta di siti hard proposta dal web. E, per restare in tema, anche la prostituzione ha cambiato il suo modus operandi. Via dalle strade, le prostitute ora preferiscono pubblicizzarsi su siti specializzati: meno stancante e più conveniente.
È però il rapporto tra cittadino e informazione il ramo che forse è stato più modificato grazie a internet. Oggi chiunque, in maniera semplicissima, può accedere in tempo reale alle news del proprio paese e di tutto il mondo. L'informazione non è più legata al giornale, al quotidiano comprato la mattina in edicola, magari lo stesso da 40 anni. Oggi chiunque può farsi una propria rassegna stampa, anche includendo giornali stranieri. Non ci sono limiti alla mole di informazioni che la rete può dare.
A rimetterci, invece, sembra sia stata la pausa pranzo. Pare che molti impiegati sacrifichino la pausa pranzo: preferiscono mangiare un panino veloce mentre chattano senza il rischio di essere rimproverati dal proprio capo.
Insomma, una rivoluzione a 360 gradi, che ha interessato ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Alcuni in meglio, altri in peggio, ognuno giudichi da sé. Ma faccia in fretta, perchè internet non dà molto tempo. C'è da scommetterlo: tra altri 15 anni le abitudini e gli oggetti di oggi saranno già vecchi, e altri oggi inimmaginabili faranno parte della quotidiana normalità.  

Riccardo Staroccia

giovedì 22 settembre 2011

PEDALA CHE TI PASSA



Secondo uno studio andare in bicicletta aiuterebbe a mantenere sana la salute, la mente e addirittura a tenere in armonia il rapporto di coppia. Più di pillole e tisane.




Pedalare: sarebbe questa, secondo uno studio condotto dall'Associazione “Donne e qualità della vita”, l'antidoto contro lo stress.
La ricerca, presentata in occasione dell'apertura di Eicma, il salone internazionale dedicato al mondo delle due ruote su pedali, avrebbe addirittura la capacità di migliorare sensibilmente la qualità della vita di coppia.
Questo almeno è quello che sostiene una buona parte di psicologi interpellati per l'occasione. Ben 43 studiosi su 100 considerano la bici un antidoto contro lo stress, più efficace di pillole e tisane.
Il motivo è facilmente deducibile: andare in bicicletta è un'attività sana da fare all'aria aperta, che mette in movimento tutto il corpo e obbliga alla concentrazione, liberando così la mente da pensieri e tensioni accumulati al lavoro e in famiglia.
Facilitando l'armonia, ne gioverebbe in maniera consistente anche il rapporto con il partner. Sicuramente meglio dell'auto, molto più alienante e che certamente non contribuisce al rilassamento mentale: non è un caso che secondo il 40% del campione le liti peggiori tra coniugi o fidanzati si consumano in macchina.
Per iniziare al meglio la giornata, sembra che andare al lavoro in bici sia un vero toccasana. Mettendo in movimento tutto il corpo, si affronta la giornata con minore tensione: il corpo si mette in moto, e il cervello carbura prima (e meglio).
Insomma, sembrerebbe proprio che la cosiddetta “bici” si stia pian piano prendendo molte rivincite sull'automobile, mezzo di locomozione che la soppiantò ormai qualche decennio fa. Se infatti pedalare fa senza dubbio bene alla forma fisica, non è da sottovalutare il vantaggio effettivo che se ne può ricavare anche in termini di efficacia. Nel congestionato traffico cittadino, spostarsi in bicicletta è decisamente più conveniente. In particolare, nei percorsi sotto i 10 km, la bici si dimostra il mezzo più veloce. Se poi si aggiungono i costi e i tempi di parcheggio, il vantaggio della due ruote diventa incolmabile. Senza contare i costi di carburante e manutenzione, praticamente nulli.
Il vero problema, semmai, è che in Italia (ed in particolare nel centro-sud) non è mai stata impostata una seria politica di incentivo all'uso della bicicletta. Nonostante nel nostro Paese ci sia un gran numero di biciclette, e nonostante gli italiani si dimostrano da sempre amanti di tale mezzo, la rete ciclabile è tristemente ferma a circa 1200 chilometri. Un dato che sconforta, e che lascia in balia del traffico urbano migliaia di imperterriti ciclisti. Sebbene andare al lavoro in bicicletta dovrebbe essere una cosa normale (come lo è in molti paesi europei), qui da noi sembra piuttosto che chi ci prova sia un folle in preda a manie di protagonismo.
Tuttavia delle piccole isole felici esistono. È il caso di Ferrara, che presenta il maggior numero di biciclette per abitante (seguite da Parma e Bolzano) o di Padova, che si vanta di essere la città con il maggior numero di chilometri di piste ciclabili, circa 125.
Certo, in altri paesi, soprattutto nordeuropei, si viaggia su tutt'altre cifre. In Olanda, addirittura, c'è più di una bicicletta per abitante, e ogni olandese in un anno percorre in media 1019 chilometri. Questo nonostante il clima, da quelle parti, sia decisamente meno clemente del nostro.
Eppure, una volta, in Italia la bicicletta era spesso l'unico mezzo di trasporto disponibile, soprattutto per le classi meno agiate. Unico, a suo modo, perchè sfrutta esclusivamente la cosiddetta “propulsione muscolare umana”. Un veicolo popolare, spesso utilizzato anche in funzione politica. Nel corso della lotta di Liberazione, ad esempio, veniva ampiamente utilizzata per compiere azioni contro i nazifascisti, tant'è vero che le forze dell'Asse proibirono durante la loro occupazione del territorio italiano, l'uso della bicicletta. Il divieto tuttavia, fu ritirato dopo poco: la maggior parte degli operai in città come Milano o Torino, infatti, si recava in fabbrica proprio con la bicicletta, ed impedirglielo avrebbe significato di fatto un blocco della produzione.
Dopo un periodo di quasi totale abbandono, oggi forse si sta riscoprendo l'importanza di muoversi senza inquinare: in molte città italiano è nato il cosiddetto “bike sharing”, uno strumento con il quale i Comuni, mettendo a disposizione biciclette in diversi punti strategici della città, provano a ridurre i problemi di congestione del traffico. Un esperimento di questo tipo fu fatto, ad Amsterdam, già a metà degli anni Sessanta, ma meglio non sottilizzare: l'importante è esserci arrivati anche noi, seppure con 40 anni di ritardo...


Riccardo Staroccia


LA STORIA DELLE COSE

Spopola da più di un anno il video che racconta il ciclo di un prodotto: estrazione, lavorazione, vendita, utilizzo e smaltimento.
Questo sistema lineare, apparentemente ci sembra normale. Ma in realtà il video spiega che non si può continuare a ripetere un sistema lineare (la catena di produzione) all'interno di un sistema finito (il mondo e le sue risorse naturali). 
Quindi, come prima cosa, va tenuto conto del fatto che stiamo usando troppe risorse e che prima o poi, se continuiamo così, si esauriranno.
Ad esempio, gli USA hanno il 4% della popolazione mondiale, ma usano il 30% delle risorse del pianeta.
Se tutto il mondo consumasse come gli USA avremmo bisogno da 3 a 5 pianeti Terra per sostenere i consumi. Ma di Terra ce n'è una sola.


Parte 1

Parte 2


VIVERE CON 100 COSE? È POSSIBILE!

Vivere con solo 100 cose. Se, nelle zone più povere del mondo potrebbe sembrare un miraggio, nel nostro occidente super capitalistico sembra una missione, un'impresa, quasi una provocazione.
Ad avere l'idea, e a metterla in pratica, è stato Dave Bruno, un imprenditore americano. Lo annunciò l'anno scorso, e ormai siamo a quasi un anno di distanza dall'inizio di quella scommessa.
Intanto Bruno è diventato famoso in tutto il mondo: tutti i più importanti giornali del globo gli hanno dedicato pagine intere, interviste, commenti. Sembra, insomma, che il 37enne californiano abbia trovato la formula giusta per far parlare di sé, e forse anche per far riflettere più di qualcuno sull'enormità di cose superflue di cui ogni giorno ci circondiamo.
Dopo aver deciso questa che è la classica “scelta di vita”, Dave ha deciso di condividerla su Internet, aprendo un blog in cui confrontarsi con chiunque volesse partecipare. A questo “gioco” Bruno ha dato anche un nome: “100 Things Challenge”. E proprio dal blog è nato quello che è diventato un piccolo movimento di consumatori penitenti, o almeno più consapevoli.
Guardando la casa dove vivo con mia moglie e le nostre figlie – ha raccontato Bruno – mi sono reso conto che gli oggetti ci stavano letteralmente sommergendo. Ho deciso così di dare il mio personale contributo alla lotta al consumismo”.
Ha scelto una lista di 100 cose indispensabili secondo lui, e ha venduto o regalato tutto il resto. Un gioco difficile, per chi è abituato a comprare ed utilizzare centinaia di oggetti al giorno.
La personale sfida di questo Robinson Crusoe delle mura domestiche ha contagiato migliaia di persone in tutto il mondo, e qualche parere critico.
Per stilare l'elenco perfetto, Bruno ha seguito sei regole fondamentali. “Per oggetti personali si intendono cose di mia proprietà, escluso quindi tutto ciò che è condiviso con la mia famiglia come il letto e gli utensili da cucina – spiega a chi glielo chiede – in secondo luogo chiuderò tutte le cose di valore affettivo nel garage per rivederle solo dopo un anno. Come terza regola conto i libri come categoria che può essere quindi riempita a piacere, anche se spero di ridurre a cento quelli in mio possesso. Stessa regola anche per indumenti intimi e calzini”. Poi aggiunge: “Terrò nella lista i miei attrezzi da falegname anche se non li conterò fra i cento oggetti e farò lo stesso anche con la mia collezione di trenini che prometto di vendere su eBay quanto prima”.
Cento oggetti posson bastare, dunque. D'accordo, ma quali? Tra le cose che l'imprenditore californiano ha deciso di tenere ci sono lo spazzolino, la lametta da barba, la fede nuziale, la Bibbia, un taccuino, un computer, una penna, una stampante, un orologio, un paio di macchine fotografiche, una vecchia automobile Mazda 929 di 16 anni. Aggiungete una ventina di camicie, t-shirt, bermuda, jeans e berretti ed ecco che il gioco è fatto. Rimane davvero poco per lo svago: Bruno ha scelto una tavola da surf, l'attrezzatura per il campeggio, e le scarpette per arrampicarsi.
Sembra poco, ma in fondo è anche troppo se si pensa che Einstein, ad esempio, sosteneva di poter vivere relativamente con poco: un violino, una penna, un orologio solare e una giacca di pelle. E che i buddhisti, per liberarsi dalla legge del possesso, consentono solo otto cose, tra le quali l'abito, una scodella per la questua, il rasoio, ago e filo per cucire, il rosario e lo zaino.